Uragano Sandy, siamo tutti americani, e che ci frega degli altri?
Quando succedono queste cose mi arrabbio, non dovrebbe essere compito di un blogger dare le notizie ma commentarle. E’ difficile però commentarle se non ci sono in italiano. Quindi prima di commentare devo dire che, prima di arrivare negli USA, l’uragano Sandy è passato nei Caraibi lasciando una striscia di distruzione e morte in Repubblica Dominicana, Haiti e Cuba. Non voglio entrare nella contabilità macabra delle persone che hanno lasciato la vita, però davvero è triste l’attenzione che attira la città americana e l’indifferenza che si porta dietro la devastazione nei paesi meno in vista.
E’ vero, New York al buio non capita tutti i giorni, la Borsa chiusa ci mostra come la nostra economia sia debole, le decine di morte nel paese più industrializzato ci possono far riflettere su quanto sia di plastica questo nostro progresso e quante persone rimangono esclusi dal benessere occidentale nello stesso occidente, che i danni prodotti dalla rottura della diga in New Jersy e quelli subiti dalla centrale nucleare dovrebbero farci riflettere su come produciamo la nostra energia a scapito della nostra sicurezza. Tutto ciò merita e ottiene la nostra attenzione, ecco, magari ci si ferma alle gallerie fotografiche senza andare a cercare i motivi, che non sono mai naturali ma sempre sociali, di queste morti, però non possono essere le uniche notizie che arrivano.
54 morti ad Haiti, per esempio, nella Repubblica delle ONG, nella nazione che tre anni fa fu sconvolta da quel terremoto che attirò l’attenzione del mondo, dovrebbero porci degli interrogativi. Come è possibile che 300.000 persone siano ancora in tendopoli in uno stato che viene attraversato da due/tre uragani all’anno? Già perchè prima di Sandy, ad agosto era arrivato Isaac. Che responsabilità hanno le organizzazioni internazionali? Forse avremmo dovuto raccontare che i paesi ricchi, che nei giorni delle foto degli haitiani sotto le macerie si erano prodigati in promesse, forse non hanno rispettato gli impegni, forse dovremmo raccontare che il modello di intervento emergenziale non può continuare per tre anni, dovremmo essere alla ricostruzione adesso, forse dovremmo dire che da subito gli haitiani han chiesto di non mandare tende, ma lamiera, legno e chiodi e che ci avrebbero pensato loro a ricostruirsi le case, come hanno sempre fatto. Ma le ONG avevano in magazzino le tende shelter, poco importa se sono pensate per i deserti e non per i caraibi.
Anche il Papa ci ha messo del suo. Nell’udienza del mercoledì ha dichiarato:
Consapevole della devastazione causata dall’uragano che ha recentemente colpito la Costa Est degli Stati Uniti d’America, offro le mie preghiere per le vittime ed esprimo la mia solidarietà verso tutti coloro sono impegnati nell’opera di ricostruzione.
Qualcuno ricordi al Papa che i morti degli Stati Uniti non sono neanche la metà di quelli prodotti dall’uragano in tutto il suo passaggio. Qualcuno mostri le foto delle città inondate della Repubblica Dominicana, dei 26.000 sfollati, di Haiti, le scuole piene di gente, le case distrutte in tutto il Caribe. O forse il Papa lo sapeva e ha fatto la stessa dichiarazione domenica scorsa, e nessun giornale italiano l’ha ripresa?
Su Facebook gira questo foto, la didascalia dice che è stata scattata in Repubblica Dominicana.
Ho verificato, perchè visto quello che è successo con New York bisogna stare attenti, e la fonte sembra essere il principale quotidiano dominicano, il Listin Diario, che colloca la foto a La Barquita a lato del fiume Ozama, Santo Domingo. L’invito che segue l’appello su Facebook è quello di ricordare anche il resto del mondo che è stato colpito, è va benissimo. Anche se è una battaglia molto difficile, se però non lo fa la comunicazione main stream proviamo a farlo con i social network…
Donne favolose
14 favole ispirate a donne reali che lottano tutti i giorni per migliore la loro comunità. Da Margherita Hack a Angela Davis, da Malala a Ilaria Alpi. Pensato per i bambini ma ottimo anche per gli adulti.
Lo presento qui: https://robertocodazzi.it/cooperazione-sociale/donne-favolose/HAITI: IL TERREMOTO SENZA FINE
Haiti è uno dei Paesi più ignorati dai media occidentali. Protagonista della prima rivoluzione guidata da ex schiavi, ma anche terra di conquista per il capitalismo nordamericano. Il 12 gennaio 2010 la sua capitale è stata distrutta da un terremoto: una frattura insanabile nella storia dello Stato caraibico. Per poche settimane i riflettori del mondo si sono accesi su quella terra, e molti vip hanno promosso in prima persona l’idea del build back better, ‘ricostruire meglio’. Ma cos’è successo in questi dieci anni?
Ne parliamo nel libro Haiti: il terremoto senza fine
Haiti: l’isola che non c’era
Nel gennaio del 2011 è uscito il libro curato da me e Helga Sirchia dedicata alla storia e alla situazione sociale di Haiti, con contributi dei più importanti studiosi dell'isola e dei soci di ColorEsperanza.su twitter
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