Chi non ha una cittadinanza italiana o di un paese dell’Unione Europea non potrà più lavorare come educatore o educatrice ed iscriversi al nuovo Albo degli educatori.

Questa esclusione non tiene conto delle qualifiche, delle competenze o dell’esperienza professionale di coloro che, pur non avendo la cittadinanza, potrebbero essere altrettanto validi o qualificati per svolgere il lavoro di educatore. L’imposizione di barriere legate alla cittadinanza può essere interpretata come una forma di razzismo istituzionale, poiché crea un sistema che privilegia determinati gruppi di persone (i cittadini europei) a scapito di altri.

Escludere educatori provenienti da contesti extraeuropei priva il sistema educativo di punti di vista culturali diversi e di competenze linguistiche e interculturali preziose, soprattutto in una società sempre più multiculturale.

La Costituzione italiana e le normative europee promuovono il principio di uguaglianza, che dovrebbe garantire pari opportunità a tutte le persone, indipendentemente dalla loro nazionalità. Le persone straniere che desiderano lavorare nel campo dell’educazione, ma non possono iscriversi all’Albo a causa di restrizioni legate alla cittadinanza, potrebbero essere costrette a esercitare la professione in maniera non regolamentata. Questo alimenta un mercato del lavoro parallelo e informale, dove gli educatori operano senza riconoscimento legale, senza tutele e con compensi potenzialmente inferiori. Questo tipo di situazioni non solo sfrutta i lavoratori, ma compromette anche la qualità del servizio educativo offerto.

Ma questo è un problema anche per gli italiani. La presenza di persone che praticano la professione abusivamente potrebbe svalutare il lavoro degli educatori iscritti all’Albo, riducendo la percezione del valore di una regolamentazione professionale e creando concorrenza sleale. Gli educatori legittimamente iscritti potrebbero vedere ridursi le loro opportunità lavorative a causa di chi opera senza rispettare i requisiti legali e le qualifiche necessarie.

In un settore spesso in carenza di personale, come quello educativo, limitare l’accesso all’Albo agli italiani o ai cittadini europei potrebbe creare un paradosso. Da un lato, c’è la necessità di personale qualificato, soprattutto in contesti multiculturali; dall’altro, si negano opportunità a persone che, pur essendo qualificate, non possono ottenere il riconoscimento formale.

Garantire un accesso più inclusivo all’Albo, basato su competenze e qualifiche anziché sulla nazionalità, potrebbe migliorare la regolamentazione del settore, promuovere l’equità e prevenire la diffusione di pratiche abusive, a beneficio di educatori, utenti e dell’intera società.

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