Chavez (presidente del VN dal 1999 al 2013) muore nel 2013. Gli succede alla presidenza Maduro. Il 14 aprile 2013 batte Henrique Capriles Radonski di Prima la Giustizia, partito di centro-sinistra, a seguito di elezioni da quest’ultimo contestate, ma il cui esito viene ratificato dal Consiglio Nazionale Elettorale (CNE), che ufficializza la vittoria di Nicolás Maduro e la sua elezione alla Presidenza della Repubblica con il 50,78% dei voti contro il 48,95% dello sfidante.

La situazione economica del VN inizia a peggiorare tra corruzione, sperpero e basso costo del petrolio. Si susseguono crisi diplomatiche con USA e Colombia e gli unici sostenitori di Maduro, a livello internazionale, intanto che si sfalda il gruppo ALBA degli stati latinoamericani di ispirazione bolivariana, sono Russi e Cina. La Cina, in particolare va all’incasso assicurandosi enormi privilegi sulle risorse naturali venezuelane.

Nel 2014 iniziarono in Venezuela una serie di proteste e dimostrazioni. Le proteste vennero attribuite all’inflazione, alla violenza ed alla povertà in Venezuela. Nel dicembre 2015 si tengono le elezioni legislative: il MUD ( federazione di partiti democristiani, liberali, socialdemocratici e centristi guidata dal COPEI e da Azione democratica) ha vinto 109 dei 164 seggi generali e tutti i tre posti indigeni, che hanno dato loro una supermaggioranza all’Assemblea Nazionale; mentre il PSUV ha vinto i restanti 55 posti. L’affluenza alle urne ha superato il 70 per cento.

L’opposizione a Maduro, e prima a Chavez, è guidata da personaggi alquanto ambigui, il più in vista è Leopoldo Lopez che nel settembre del 2015 il politico fu giudicato colpevole di incitamento alla violenza e condannato a 13 anni e 9 mesi di detenzione per le proteste del 2014. I legami di Leopoldo Lopez con la parte più a destra del Partito Repubblicano Statunitense sono noti e pubblici. C’è chi considera la sua carcerazione come una vendetta politica e chi lo ritiene responsabile di una strategia di destabilizzazione del paese.

Ne 2017 Maduro, per decreto presidenziale (e non tramite referendum, come successe nel 1999) convoca elezioni per un’Assemblea Costituente. Il sistema elettorale studiato per queste elezioni è pensato apposta per estromettere le opposizioni: ogni comune, a prescindere dalla grandezza, elegge un membro dall’assemblea, tranne Caracas che ne elegge 8 e le capitali degli stati (3). In più le organizzazioni sindacali eleggeranno propri rappresentanti. Le opposizioni sono forti soprattutto nelle grandi città dove si concentrano molte persone e per questo vinsero nel 2015, ma adesso il voto di milioni di residenti in una città vale come quello di qualche decina di abitanti di un villaggio rurale. I sindacati sono, da anni, emanazione del sistema governativo.
Le opposizioni non partecipano alle elezioni della Costituente.

La neonata Assemblea Costituente azzera le competenze del Parlamento venezuelano e si assume il potere di legiferare su temi di ordine pubblico, sicurezza nazionale, diritti umani, sistema socio-economico e finanze. Non viene posto limite temporale alla permanenza in carica della Costituente e il presidente della stessa ha poteri addirittura sopra il Presidente della Repubblica.

Il mandato di Maduro sarebbe finito a dicembre 2018, ma l’Assemblea Costituente, e non il Parlamento, indico elezioni anticipate per aprile, poi per maggio, Le opposizioni non riconoscono la validità di questa convocazione, per violazione della Costituzione e nella quasi totalità rifiutano di partecipare al voto. Diversi paesi, compresi gli Stati Uniti, il Canada, il Brasile, l’Argentina, il Cile, la Colombia e il Messico, avevano fatto sapere che non avrebbero riconosciuto il risultato delle elezioni presidenziali. Diverse organizzazioni internazionali, come l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani ma anche l’Unione Europea, avevano denunciato la mancanza di trasparenza e delle necessarie garanzie elettorali del voto.

Nicolás Maduro è stato rieletto presidente del Venezuela per un nuovo mandato di sei anni, con il 67,7 per cento mentre il suo principale avversario Henri Falcón, poco rappresentativo dell’opposizione venezuelana, ha ottenuto il 21,2 per cento.

Nel frattempo sono saliti a 3 milioni i venezuelani in fuga dal loro Paese: praticamente 1 cittadino su 12 ha lasciato il Paese. L’80 per cento è rimasto in America Latina, in primis Colombia, Perù ed Ecuador. I numeri sono superiori a quelli della crisi siriana.

In agosto il presidente Nicolas Maduro (nella foto) ha ufficialmente introdotto il corso della nuova valuta del Paese, il Bolívar soberano (“sovrano” in italiano). L’introduzione della nuova divisa ha di fatto sostituito il vecchio Bolívar forte con l’obiettivo di abbattere l’iperinflazione (un milione per cento all’anno) che strangola il Paese ormai da diversi anni. Rispetto alla vecchia moneta venezuelana, il Bolivar sovrano ha cinque zeri in meno (la banconota da 500 bolívar sovrani equivale a 50 milioni di bolívar forti). Il mercato non ha comunque apprezzato e anche il bolívar sovrano si è svalutato del 96% in un solo giorno

E arriviamo ai fatti di questi giorni: l’opposizione non riconosce Nicolas Maduro come Presidente, che invece è stato riconosciuto dell’Assemblea Costituente. La Camera, eletta democraticamente e controllata dall’opposizione, ha appena nominato Presidente provvisorio Juan Guaidò, non un vecchio dinosauro impresentabile o un turbocapitalista come Leopoldo Lopez, ma un 35nne ingegnere industriale presidente della Camera dal 5 gennaio e appartenente a un partito membro dell’Internazionale Socialista. Il Venezuela ha in questo momento due presidenti. Due giorni fa c’è stata l’insubordinazione di 27 elementi della Guardia Nazionale Bolivariana. Non un corpo qualsiasi, ma la spina dorsale del chavismo nell’esercito. E non sono gli unici rumori preoccupanti per Maduro che arrivano dalle caserme.

Una mediazione in extremis tra i poteri in Venezuela sarebbe l’unica forma per evitare un bagno di sangue…

ps: mi scuso per le semplificazioni ed imprecisioni, lo scopo è rendere l’idea di come siamo arrivati ad avere due presidenti in VN e nessuna speranza.

 

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