Obama ha vinto, ok. Ha la maggioranza dei grandi elettori, ok. Ha preso il 50% dei voti, ok e Romney il 48%.

Questi dati li conosciamo ormai a memoria così come la foto dell’abbraccio tra Michel e Barack che seppur scattata di giorno tutti considerano fatta nella notte elettorale… (ps: la soluzione è che la foto è di agosto).

Qualcosa sappiamo dei referendum su marijuana e matrimoni gay, poco o nulla si è scritto su Porto Rico.

Nell’isola caraibica si è votato per il governatore e per un importante referendum. Oggi Porto Rico dipende economicamente e politicamente da Washington; importazioni ed esportazioni sono controllate dal governo federale; i cittadini eleggono un governatore, rappresentante statunitense nell’isola, che non ha però competenza in materia di difesa, politica estera e commercio. Non possono votare per il Presidente degli USA e non hanno rappresentanti al Congresso.

Non bisogna scordare che nel 2006 si è vissuta una delle crisi economiche peggiori per il paese: il governo portoricano ha dovuto far fronte a un significante deficit monetario, che lo ha costretto a chiudere il Dipartimento dell’Educazione e altri 42 enti governativi, nonché tutti i 1.536 istituti scolastici pubblici, per un totale di 95.762 addetti statali mandati a casa in licenza. Le ragioni di questa crisi sono rintracciabili nello status di colonia: tutta la rete commerciale d’importazione ed esportazione viene controllata e pesantemente tassata dagli Stati Uniti. Inoltre i portoricani pagano al governo americano un’imposta federale sui ruoli paga, che influenza quindi i dipendenti con un basso reddito salariale, e le tasse sulla sicurezza sociale e quelle federali, escluso il reddito. Nonostante ciò la popolazione è limitata o non ha diritto ad usufruire di alcuni programmi federali. Basti pensare che Porto Rico è escluso dal Supplemental Security Income (SSI) o che per il programma Medicaid riceve meno del 15% dei fondi che riceverebbe se fosse stato federale. Inoltre, per quanto concerne il programma Medicare, Porto Rico riceve benefici solo parziali, pur pagando la quota intera del servizio.

In questo clima sono stati posti due quesiti agli elettori portoricani: vuoi manetere lo status di “lisbero stato associato agli USA?” e “Cosa vorresti per il futuro?”

Solo il 44% dei votanti hanni risposto positivamente al primo quesito, mentre al secondo il 61% dei voti sono andati all’opzione “diventare il 51esimo Stato Americano”, solo il 5% dei voti sono andati per l’indipendenza. Il quesito è solo consuntivo poichè non viene data alcun potere decisionale a dei “colonizzati” però Obama si era speso per appoggiare la volontà dei caribici qualora vi fosse stata una chiara maggioranza.

Alle elezioni per il Governatore dell’isola si presentava il governatore uscente Fortuño associato al Partito Repubblicano, Garcia, associato al Partito Democratico e Dalmau per il partito indipendentista. Completavano il quadro Figueroa (Puerto Ricans for Puerto Rico), Hernández (Movimiento Unión Soberanista) e Bernabe per il Worker’s People Party. Il risultato ha premiato, con soli 15.000 voti di scarto, il candidato democratico che si troverà quindi incaricato di gestire con il democratico Obama la questione dello status dell’isola. Gli indipendentisti han preso il 2,5%.

Tornando invece agli Stati federati, i risultati vengono spesso appiattiti sulla questione Democratici vs Repubblicani, ma i candidati alla presidenza sono sempre molti. Nella storia recente si parlò solo del ruolo che giocò Nader nelle elezioni del 2000, dove molti l’accusarono di aver sottratto voti ai democratici e favorito la vittoria in Florida dei Repubblicani. Quest’anno i candidati erano diversi:

Gary Johnson: sicuramente il più interessante delle candiature “terze”. Già in corsa per le primarie del Partito Repubblicano, ex governatore del New Mexico, si è presentato per il Libertarian Party. E’ riuscito ad ottenere risultati significativi in diversi stati: 3,5 in New Mexico, 2,9 in Montana, 2.5 in Alaska, 2,2 in Wyoming, 1,9 in Indiana e Maine, 1,8 in Kansas, 1,6 in Missouri e South Dakota, 1,5 in Arkansas, 1,4 in Idaho. Il risultato però più eclatente sarebbe potuto essere, guarda caso, la Florida. Qui Johnson ha preso 43.000 voti e la differenza tra Obama e Romney è di soli 47.000 voti a favore del democratico. Johnson, per poco, non è stato decisivo per l’assegnazione dello stato (cosa che comuqnue non avrebbe implicato cambiamenti rispetto al risultato finale delle presidenziali).

Jill Stein: candidata del Green Party. Si è presentata in 37 stati, il miglior risultato sono stati Maine, Alaska e Oregon, appena sopra l’1%.

Virgil Goode: candidato in 21 stati per il Constitution Party non ha mai superato lo 0,7%.

Rocky Anderson: ex sindaco di Sant Lake City, si è presentato in 6 stati per il Justice Party raggiungendo al massimo lo 0,5%.

Peta Lindsay: candidata per Party for Socialism and Liberation si è presentata solo in Arkansas e Vermont raccogliendo lo 0,2%.

Roseanne Barr: presentatasi in California e Florida per il Peace and Freedom Party ha preso lo 0,4% a Ovest e lo 0,1% a Est.

Randall Terry si è presentato come indipendente in Nebraska, Kentucky e West Virginia dopo essere stato candidato provocatore alle primarie democratiche. Repubblicano, attivista pro-life, è stato sconfitto per due volte in tentativi di candidature per il partito di destra per posti congressuali. Ha raggiunto al massimo lo 0,6%.

Questi i nomi che probabilmente non rivremo più in giro a meni che qualcuno, come Johnson, non intenda usare la visibilità acquisita in questa tornata elettorale per tornare a candidarsi alle primarie del partito Repubblicano tra 4 anni. Da sottolineare come i partiti di sinistra o ambientalisti abbiamo avuto come candidate delle donne e che, a volte, questi piccoli movimenti, sono stati in grado di aggregare forze non indifferenti, anche se non significative rispetto al risultato finale.

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.