Per un momento voglio lasciare da parte le polemiche di chi parla di barconi di stupratori che arrivano a Lampedusa, voglio far finta che non vi siano iniquità sulla gestione dei minori stranieri e che non esista il reato di clandestinità e guardare la legge per l’immigrazione italiana solo rispetto all’ambito lavorativo.

La Bossi-Fini, del 1998, l’ho studiata all’università, applicata per lavoro e, mio malgrado, subita per questioni personali. Questa legge prevede, sostanzialmente quattro tipi di visti per accedere in Italia se si è extracomunitari:
– visto per ragioni sanitarie, se si ha bisogno di cure importanti non erogabili nel paese d’origine.
– visto per motivi di studio, se ci si iscrive tramite le nostre ambasciate a scuole superiori o, più frequentemente, ad università italiane.
– visto per motivi di turismo, con la durata massima di tre mesi.
– visto per motivi di lavoro.

Il visto per motivi di cura è chiaramente legato alla durata delle stesse e si rivolge soprattutto a minori o adulti assistiti da organizzazioni internazionali. Ma sugli altri tre si aprono dei paradossi che impediscono di fatto l’immigrazione regolare in Italia, con buona pace di chi vede questa legge come argine all’invasione dei cladestini.

Ecco perchè:

Il visto per motivi si studio non può essere convertito in visto per lavoro. Terminati gli studi, quindi, il ragazzo o la ragazza dovranno tornare nel paese d’origine. Già questo sarebbe un’assurdità perchè persone che si sono formate nelle nostre scuole non possono spendere in Italia le conpetenze acquisite. Per loro si aprono le possibilità di una richiesta di un visto per lavoro…

Stessa cosa vale per il visto di turismo, in nessun caso può diventare visto per lavoro.

Veniamo quindi al punto cruciale: il visto per lavoro può essere richiesto soltanto in occasione dei decreti flussi e con queste modalità:
– il datore di lavoro italiano chiede che venga concesso il visto di lavoro per una persona extracomunitaria che risiede all’estero;
– nel giro di un anno/anno e mezzo la persona viene convocata in ambasciata per poter ricevere il visto;
– a quel punto il datore di lavoro deve garantire che la persona che sta invitando ha un’alloggio in Italia, altrimenti dovrà provvedere lui stesso.

In sostanza un imprenditore invita una persona che verosibilmente non conosce o comunque non ha mai visto all’opera facendosi carico di trovargli una casa e aspettando fino ad oltre 18 mesi dal momento in cui ha bisogno di lui… nessuno ci crede.

Inoltre i decreti flussi non hanno una cadenza regolare, che possa permettere una programmazione della ricerca della manodopera, ma sono a discrezione del Governo e non riescono a soddisfare se non il 30% delle domande che vengono presentate, infatti i posti si esauriscono nei primi minuti. Ve lo vedete l’imprenditore che controlla l’ora esatta per inviare la domanda per una persona che non vedrà nel prossimo anno e mezzo?

In realtà succede questo: chi è in Italia con visti di turismo o di studio (entrando quindi dagli aeroporti legalmente e non con i barconi) ci rimane dopo la scadenza del tempo previsto, e si trova un lavoro in nero, che tanto conviene ai nostri industriali. Quando il Governo aprirà la possibilità di “invito” saranno gli stessi immigrati a presentate la domanda per conto dei loro datori di lavoro e quando arriverà la convocazione in ambasciata torneranno nel paese di origine a ritirare il visto. Il datore di lavoro, inoltre potrà anche contare sul fatto che questi lavoratori hanno già una casa in cui stare e sarà quindi sollevato dall’obbligo.

Una legge sull’immigrazione siffatta invita a stare in Italia da clandestini poiché è IMPOSSIBILE entrarci da regolare con il visto per motivi di lavoro. Ecco perché va cambiata, perché fallisce proprio dove vorrebbe essere più forte!
Diamo la possibilità alle persone di tramutare i visti di turismo e di studio in visti di lavoro, diamo la possibilità di visti temporanei per la ricerca di lavoro e vedremo diminuire la clandestinità presente nel paese con beneficio di tutti poichè qualsiasi statistica indica come la situazione di legalità rispetto al rapporto di immigrazione porta con se’ il calo drastico dei reati commessi. Gli immigrati regolari delinquono la metà degli italiani.

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