Dal Mediterraneo ad Haiti, passando da Panama, la lotta non è alla povertà ma ai migranti
Nove persone tra cui una bimba, tra i 4 e i 6 anni di età, sono morte ieri, 10 aprile, nel naufragio avvenuto in acque maltesi a una trentina di miglia da Lampedusa. Ennesima tragedia che probabilmente non avrà conseguenze.
Non ci saranno reazioni, non ci saranno proclami, non ci sarà nulla. Ormai la morte nel Mediterraneo, il più grande cimitero al mondo, è stata normalizzata. In fondo, un po’, se la cercano.
Le recenti cronache che coinvolgono la Mara Jonio, la nave di soccorso della Ong Mediterranea, che dopo esser stata oggetto di spari da parte della cosiddetta Guardia Costiera Libica, è accusata dalle autorità italiane «di aver istigato la fuga dei migranti per sottrarsi alla guardia libica» non svelano nulla di nuovo, ovvero che c’è la criminalizzazione del soccorso. Chi aiuta è complice, se non colpevole, dell’ingresso delle persone nel nostro territorio. Una triste tradizione che dall’epoca dei “ong taxi del mare” coniato dal Movimento 5 stelle, non ci ha mai lasciato, passando dai decreti sicurezza e dai ripetuti accordi con i paesi del nord africa.
La scelta che i principali partiti europei hanno scelto per non rischiare di far governare la destra xenofoba è quella di provare a superarli sul tema immigrazione. La tecnica però non ha funzionato in Italia e non si capisce perchè dovrebbe funzionare in Europa. Era il 2017, governo Gentiloni, il ministro Minniti, oggi a capo di una Fondazione legata all’azienda bellica pubblica Leonardo, propose il Memorandum con la Libia con cui lo stato italiano ha finanziato lautamente le autorità nord africane all’epoca impegnate nella seconda guerra civile libica e il famigerato codice ONG. Ma queste azioni fanno solo sembrare legittime le strategie della destra che puntano a colpevolizzare chi fugge dalla guerra, dalla miseria, dalla fame. L’elettore a questo punto sceglie direttamente l’originale, rispetto alla copia, e il voto si sposta ancora più a destra.
Ieri il Parlamento Europeo ha varato il nuovo Patto migrazione e Asilo. «È più che mai evidente che questo Patto farà regredire di decenni la legislazione europea in materia di asilo, esponendo molte più persone, in ogni fase del loro viaggio, a grandi sofferenze», ha dichiarato Eve Geddie, direttrice dell’Ufficio Istituzioni europee di Amnesty International. Il pacchetto di proposte rischia di esporre soprattutto i più fragili, come donne e bambini «al rischio di una detenzione de facto alle frontiere dell’Unione europea».
Il quadro è dettagliato perfettamente dal presidente della fondazione Migrantes Gian Carlo Perego sul quotidiano Avvenire:
«Il Patto europeo sui migranti richiedenti asilo e rifugiati approvato al Parlamento europeo a Bruxelles avrebbe dovuto modificare le regole di Dublino, favorire la protezione internazionale in Europa di persone in fuga da disastri ambientali, guerre, vittime di tratta e di sfruttamento, persone schiacciate dalla miseria, con un impegno solidale di tutti i Paesi membri dell’Unione europea nell’accoglienza, il ritorno alla protezione temporanea come si era visto con gli 8 milioni di migranti in fuga dall’Ucraina, un monitoraggio condiviso tra società civili e Istituzioni del mar Mediterraneo per salvare vite nel Mediterraneo. Invece l’Europa, mentre continuano le tragedie nel Mediterraneo, a maggioranza di voti si chiude in se stessa, trascura i drammi dei migranti in fuga, sostituisce la vera accoglienza con un pagamento in denaro.».
La strategia dell’innalzamento dei muri però non è una prerogativa europea. Nelle Americhe ci sono almeno due altri casi emblematici: Panama e Haiti.
Il paese centroamericano si trova su una delle rotte migratori più battute: la Foresta del Darién. È necessario percorrerlo per raggiungere a piedi gli Stati Uniti dal Sud America. Un tempo attraversato raramente, negli ultimi tre anni è diventato un’importante via di transito dei migranti, con quasi un milione di persone che hanno rischiato il pericoloso viaggio dal 2021.
La candidata alla presidenza di Panama Zulay Rodríguez, del partito attualmente al governo, ha proposto di chiudere la rotta migratoria. Il come sarebbe una riproduzione del modello Turchia, ovvero ricevere soldi dagli Stati Uniti, paese di destinazione dei migranti, per trattenerli a Panama e rimpatriarli nei paesi di origine: Venezuela, Ecuador, Perù, Colombia e Haiti.
Proprio Haiti è il nuovo fronte. Nuovo relativamente perchè almeno dal 2010 la fuga dal paese caribico è stata massiccia. Inizialmente però le migrazioni degli haitiani erano dirette verso la Repubblica Dominicana, il Brasile e il Cile. Ora, con l’aggravarsi della situazione a Port-au-Prince, gli USA temono una fuga di massa che potrebbe arrivare via mare nella vicina Florida. L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati – UNHCR – ha diramato delle linee guida in cui si legge:
gli haitiani potrebbero essere eleggibili per la protezione dei rifugiati secondo la definizione di rifugiato regionale della Dichiarazione di Cartagena del 1984. Secondo l’ONU, i Paesi possono prendere in considerazione la possibilità di concedere una protezione complementare o temporanea alle persone provenienti da Haiti, così come altre modalità di soggiorno legale, come il ricongiungimento familiare, i visti umanitari e l’accesso ai documenti. La risposta degli USA è stata contundente: la Guardia costiera statunitense ha rimandato ad Haiti 65 migranti haitiani il 12 marzo dopo che la loro nave era stata intercettata vicino alle Bahamas.
Il segretario per la Sicurezza interna Alejandro Mayorkas ha dichiarato la settimana scorsa: “Vorrei essere chiaro: quando intercettiamo individui provenienti da Haiti in mare, li riportiamo ad Haiti il ??più rapidamente possibile. In effetti lo abbiamo fatto nelle ultime settimane e continueremo a farlo.”. Biden non intende modificare la sua politica di rimpatrio dei cittadini haitiani intercettati in mare perché non vuole innescare una migrazione di massa e perdere la partita con lo sfidante alla presidenza Trump che delle misure, per lo più scenografiche, contro l’immigrazione ha fatto una delle sue cartoline di presentazione.
Abbiamo paura dell’immigrazione e facciamo di tutto per tenerli lontano di noi perchè ci mette di fronte alla povertà. Abbiamo un razzismo sistemico nei confronti di chi è più povero, di chi ci mette in discussione perchè ha meno di noi. Ci obbliga ad ammettere che godiamo di un privilegio dato dal nostro luogo di nascita. La sola distinzione tra migranti economici e migranti in fuga deve farci riflettere su come concepiamo il diritto universale alla mobilità. Arriviamo ad accettare, con molta fatica, la possibilità che qualcuno possa fuggire dalla guerra, ma anche qui non da tutte, ma non che qualcuno possa provare a costruirsi una vita migliore muovendosi dal suo paese.
Una volta i migranti economici era gli europei che andavano nelle americhe, in africa o in asia; ora che, da pochi anni, siamo destinazione di migrazioni l’unica risposta che riusciamo a costruire si basa su muri, rimpatri e campi di detenzione per conto terzi.
Ci rifiutiamo di affrontare le cause della povertà per limitarci a intervenire sui sintomi. La nostra preoccupazione dovrebbe essere quella di permettere a chiunque di star bene nel paese che sceglie per vivere.
Donne favolose
14 favole ispirate a donne reali che lottano tutti i giorni per migliore la loro comunità. Da Margherita Hack a Angela Davis, da Malala a Ilaria Alpi. Pensato per i bambini ma ottimo anche per gli adulti.
Lo presento qui: https://robertocodazzi.it/cooperazione-sociale/donne-favolose/HAITI: IL TERREMOTO SENZA FINE
Haiti è uno dei Paesi più ignorati dai media occidentali. Protagonista della prima rivoluzione guidata da ex schiavi, ma anche terra di conquista per il capitalismo nordamericano. Il 12 gennaio 2010 la sua capitale è stata distrutta da un terremoto: una frattura insanabile nella storia dello Stato caraibico. Per poche settimane i riflettori del mondo si sono accesi su quella terra, e molti vip hanno promosso in prima persona l’idea del build back better, ‘ricostruire meglio’. Ma cos’è successo in questi dieci anni?
Ne parliamo nel libro Haiti: il terremoto senza fine
Haiti: l’isola che non c’era
Nel gennaio del 2011 è uscito il libro curato da me e Helga Sirchia dedicata alla storia e alla situazione sociale di Haiti, con contributi dei più importanti studiosi dell'isola e dei soci di ColorEsperanza.su twitter
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