Il 12 gennaio 2010, un devastante terremoto distrusse Port-au-Prince, la capitale di Haiti, causando oltre 220.000 morti, 1,5 milioni di sfollati e danni incalcolabili. Quindici anni dopo, Haiti vive una crisi ancora più profonda, alimentata da instabilità politica, violenze diffuse e una catastrofe economica.

Un Paese ostaggio delle bande

Le bande armate controllano il 90% dell’area metropolitana di Port-au-Prince, governando interi quartieri e imponendo un regime di terrore. Omicidi, rapimenti e violenze sessuali sono all’ordine del giorno, rendendo la vita quotidiana insostenibile per milioni di haitiani. La situazione ha spinto migliaia di persone a lasciare le proprie case, creando una nuova ondata di sfollati interni.

Le scuole sono chiuse in molte zone, gli ospedali faticano a operare e l’accesso a cibo, acqua e cure mediche è drammaticamente limitato. Circa 5 milioni di haitiani – quasi metà della popolazione – dipendono interamente dagli aiuti umanitari.

Un vuoto politico e il ruolo della comunità internazionale

L’assassinio del presidente Jovenel Moïse nel 2021 ha aggravato il vuoto politico, lasciando il Paese senza un governo stabile e con un parlamento inattivo dal 2020. Le elezioni sono sospese da anni, e le istituzioni statali sono paralizzate, incapaci di garantire sicurezza o servizi basilari.

Per rispondere alla crisi, le Nazioni Unite hanno approvato una missione internazionale guidata dalla polizia del Kenya, che ha assunto il comando delle operazioni di sicurezza con il sostegno di altri Paesi come Giamaica, Bahamas e Belize. Il contingente keniota, composto da circa 1.000 agenti, ha l’obiettivo di contrastare le bande armate e ristabilire un minimo di ordine nelle aree più colpite.

Questa missione, seppur sostenuta dagli Stati Uniti e da altre potenze, ha sollevato dubbi tra gli haitiani. Molti temono che possa ripetere gli errori delle precedenti operazioni internazionali, come quelle della MINUSTAH (Missione delle Nazioni Unite per la Stabilizzazione di Haiti), accusata di scandali e di aver introdotto l’epidemia di colera che devastò il Paese nel 2010.

Una fragile speranza

Nonostante la paura e lo scetticismo, la presenza della polizia internazionale rappresenta una delle poche speranze per contenere l’escalation di violenza e permettere agli aiuti umanitari di raggiungere le comunità più vulnerabili. Le forze del Kenya e degli altri Paesi coinvolti stanno iniziando a operare sul campo, anche se la sfida appare immensa.

Un’economia al collasso

L’insicurezza alimentare e la povertà sono aumentate drasticamente. Il tasso di inflazione ha superato il 40%, e la produzione agricola è stata gravemente compromessa. Molte famiglie vivono con meno di 2 dollari al giorno, mentre il mercato nero prospera sotto il controllo delle bande.

Un appello al mondo

Haiti lancia un grido disperato: “Non dimenticateci”. L’attenzione globale del 2010, che mobilitò miliardi di dollari in aiuti dopo il terremoto, si è affievolita. Oggi, la comunità internazionale è chiamata non solo a intervenire con aiuti immediati, ma anche a investire nella ricostruzione di istituzioni solide e nella sicurezza del Paese.

Haiti è a un bivio: senza interventi coordinati e un impegno a lungo termine, il Paese rischia di sprofondare in una crisi irreversibile. La presenza della polizia internazionale, se gestita con trasparenza ed efficacia, potrebbe rappresentare un primo passo verso la stabilizzazione. Ma la vera rinascita di Haiti dipenderà da un impegno globale per affrontare le cause profonde della sua fragilità.

Haiti non può essere dimenticata: la pace, la sicurezza e lo sviluppo devono diventare una priorità per la comunità internazionale.

Se vuoi sapere qualcosa in più su Haiti consiglio la lettura di HAITI: IL TERREMOTO SENZA FINE: https://www.peoplepub.it/pagina-prodotto/haiti-il-terremoto-senza-fine

 

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