Dove prendono i soldi gli immigrati per pagarsi i barconi?
Beppe Grillo, in un post delirante, citando a sproposito Giovanni Falcone, elabora la teoria che i 1.000 euro, circa, che ogni migrante paga agli scafisti per venire in Italia siano pagati dalla mafia italiana.
La teoria è questa, la mafia guadagna sui centri di accoglienza dei rifugiati (uno o due euro al giorno, dice), quindi è disposta ad investire mille euro per ognuno di loro per farli venire in Italia. E questo guadagno sarebbe superiore a quello del commercio della droga.
Il sistema non sta in piedi da nessun punto di vista, ma ipotiziamo che sia così e facciamo due conti. Ogni rifugiato frutta alla mafia circa 500 euro all’anno, quindi dovrebbe rimanere in un centro di accoglienza per almeno due anni perchè la stessa possa andare in pari. Tre anni per riuscire a raccimolare 500 euro. Ma sappiamo che i tempi di permanenza sono molto più contingentati, si parla di sei mesi rinnovabili di altri sei, molti rifugiati, poi dopo poco tentano di lasciare l’Italia per raggiungere altri paesi europei quindi sarebbe un investimento ad alto rischio e con poco profitto.
Inoltre non tutte le persone che arrivano sui barconi vengono riconosciuti come rifugiati, per loro non vi sono sistemazioni pagate dall’unione europea o dallo stato italiano, quindi nessuna possibilità di guadagno per la mafia, quindi sarebbe un investimento perso.
Ora, se una cosa la mafia sa fare sono i conti. Quale mafioso pagherebbe milioni di euro per far arrivare in Italia gli immigrati con la prospettiva, forse, di rientrare dall’investimento in tre/quattro anni?
È evidente che la teoria di Grillo non ha nessun futuro e punta solo a sostenere la sua teorica soluzione, ovvero:
“Per risolvere il problema immigrazione va prosciugato il fiume di soldi che si porta con sé.”
Detto in altri termini basta aiutare le persone che sono in fuga da guerre e da situazioni economiche insostenibili.
Le mafie italiane non hanno bisogno di importare a pagamento i migranti, li sfruttano una volta qui, dentro il sistema dei centri di accoglienza, certo, ma quello è solo una piccola parte, perchè c’è il caporalato e il lavoro nero (la camorra nel casertano dovrebbe dire qualcosa), offrendo viaggi verso gli altri paesi europei, speculando sulla loro situazione di precarietà per utilizzarli all’interno dei traffici illegali e di spaccio.
La domanda iniziale però rimane ed è interessante, ovvero, dove trovano i soldi le persone che si imbarcano per venire in Italia?
Forse il modo migliore è porre la domanda a chi quel viaggio l’ha fatto. Un ottimo documento è il lavoro di Andrea Segre “Come un uomo sulla terra“, video reportage di un’ora che racconta il viaggio dei migranti durante la vigenza degli accordi Italia-Libia.È importante ricordare che il viaggio, infatti, non inizia sulle coste libiche ma ha un antecedente di sofferenza forse tanto grande quanto la traversata del Mediterraneo. E non è un unicum, ma è fatto di traversate del deserte, di soste di mesi, di ricerca di fondi, di attese, di schiavitù, di rimpatri da un paese africano all’altro, di fallimenti e di ripartenze. Se si guarda il viaggio solo dalla prospettiva europea, ovvero, da quando delle barche lasciano le acque territoriali libiche non potremo mai capire il senso e la natura dello stesso.
Questo il racconto di un ospite della Casa della Carità di Milano, Ahmed, un uomo di mezza età in viaggio con la famiglia: “In Libia succedono cose orrende. Ci siamo stati due mesi. Insulti e e violenze, anche sulle donne. Ci tenevano in delle specie di prigioni, in una stanza come questa c’erano tre volte le persone che ci dormono ora. Speravamo nella solidarietà tra musulmani e invece le condizioni del paese erano talmente pessime che ci hanno dato il coraggio per salire sui barconi”. Molti dei quali non erano nemmeno in grado di compiere la traversata.
Ecco un altro racconto: partito dall’Eritrea, “partimmo da Asmara all’alba con un autobus di linea fino a Tessenei. Durante la strada trovammo almeno 25 posti di blocco, fortunatamente non troppo difficili da sviare. Arrivammo a Tessenei al tramonto con 2500 nakfa (100 euro) in tasca che ci servivano per affrontare il “vero” viaggio. Prima di partire ci siamo rifocillati e, indossato il vestito del popolo musulmano (jallbia) per confonderci tra loro, appena il sole fu tramontato, partimmo alla volta del deserto verso il Sudan. In Sudan sono rimasto circa un anno a lavorare per guadagnare un po’ di soldi perché quelli che avevo non bastavano a pagare il viaggio. Mi offrirono un “pacchetto viaggio” che sembrava interessante, ad un costo relativamente basso per andare da Kartoum a Tripoli. Il “pacchetto” proponeva: l’attraversamento del deserto fino a Kufra in 3 giorni al prezzo di 250 dollari e da Kufra a Tripoli al prezzo di 300 dollari. (…) Eravamo già in territorio libico. Due ore dopo il crepuscolo ci raggiunsero due macchine con due persone a bordo. Ci fecero scendere e ci dissero che per continuare il viaggio avremmo dovuto pagare altri soldi. Sia io che altri che viaggiavano con me avevamo finito i soldi che ci eravamo portati da Kartoum; alcuni nostri connazionali hanno fatto una colletta per aiutarci ma i soldi non sono bastati per tutti: 4 etiopici, purtroppo, sono rimasti al campo di Bengasi. A Tripoli affittai per un mese un appartamento insieme ad altri 12 miei connazionali al prezzo di 110 dollari in attesa della nave per l’Europa. Il proprietario dell’appartamento veniva quasi ogni giorno per informarsi se qualcuno di noi fosse pronto a partire per l’Europa, il che si traduceva nella possibilità di pagare la traversata in nave. Dopo un mese avevo ripagato i debiti del viaggio nel deserto e avevo in tasca 1200 dollari per l’altro viaggio, l’ultimo, e così gli dissi che ero pronto a partire.”
Questa un’altra testimonianza, raccolta da Elisa Pierandrei nelle coste tunisine: “Io ho un fratello che verrà a prendermi dalla Francia. Per trovare i soldi ho chiesto aiuto ai miei parenti, ho promesso di restituire tutto appena trovo un lavoro in Italia o in Europa ”.
Altre testimonianze raccolte da studenti delle superiori:
“Mio padre è un grande, anche se non mi parla e non mi ha mai fatto una carezza sulla testa, io so che mi vuole bene, perché qualche giorno fa mi ha confidato che tra un furto e qualche lavoretto è riuscito, dopo anni, a mettere via quei maledetti soldi per pagare gli scafisti e dire addio a questa specie di vita. Da questo capii che tutti gli sforzi erano stati inutili, i soldi non erano stati abbastanza e i miei genitori erano rimasti a terra, le tariffe imposte dai trafficanti di uomini erano assurde per le nostre condizioni. I nostri genitori tennero come ricordo i bagagli preparati e lasciati a terra. (…) Io e mio fratello lavammo centinaia e centinaia di vetri fino a quando non avemmo abbastanza soldi per rintracciare i nostri genitori e offrire loro l’ opportunità di vivere assieme a noi. Purtroppo ne ricavammo solo una spiacevole notizia: non erano sopravvissuti alla guerra, entrambi erano morti in seguito ad un’esplosione.”
In sostanza in questo viaggio che dura mesi, se non anni, i migranti lavorano, si aiutano, vengono derubati, trovano il sostegno di parenti già all’estero, si prostituiscono, si ingegnano mezzi per trovare i soldi, ma sicuramente non hanno l’appoggio della mafia o di altre organizzazioni criminali per pagarsi il passaggio sui barconi, anzi le organizzazioni puntano a prendersi tutto e subito togliendo ogni volta che sia possibile qualsiasi risparmio abbiamo da parte.
Per approfondire eccoo altre storie, quelle dei 5.000 km da percorrere per arrivare in Libia e quella della traversata del mediterraneo.
5 Responses to Dove prendono i soldi gli immigrati per pagarsi i barconi?
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Donne favolose
14 favole ispirate a donne reali che lottano tutti i giorni per migliore la loro comunità. Da Margherita Hack a Angela Davis, da Malala a Ilaria Alpi. Pensato per i bambini ma ottimo anche per gli adulti.
Lo presento qui: https://robertocodazzi.it/cooperazione-sociale/donne-favolose/HAITI: IL TERREMOTO SENZA FINE
Haiti è uno dei Paesi più ignorati dai media occidentali. Protagonista della prima rivoluzione guidata da ex schiavi, ma anche terra di conquista per il capitalismo nordamericano. Il 12 gennaio 2010 la sua capitale è stata distrutta da un terremoto: una frattura insanabile nella storia dello Stato caraibico. Per poche settimane i riflettori del mondo si sono accesi su quella terra, e molti vip hanno promosso in prima persona l’idea del build back better, ‘ricostruire meglio’. Ma cos’è successo in questi dieci anni?
Ne parliamo nel libro Haiti: il terremoto senza fine
Haiti: l’isola che non c’era
Nel gennaio del 2011 è uscito il libro curato da me e Helga Sirchia dedicata alla storia e alla situazione sociale di Haiti, con contributi dei più importanti studiosi dell'isola e dei soci di ColorEsperanza.su twitter
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Mafia Capitale insegna. Buzzi: “Con immigrati si fanno molti più soldi che con la droga”
salve, 3 anni fa mi trovavo in Tunisia per un moto raid, parlando in albergo con la mia guida tunisina , mi raccontava che a Kairone cittadina al centro della Tunisia, giorni prima del mio arrivo , la polizia in un posto di blocco ha fermato e perquisito un camion appena sbarcato a Tunisi con provenienza da Genova.
Occultato tra varie merci , hanno trovato 3 milioni di euro.Ora la cosa mi e’ sembrata un po strana, mi e’ venuto subito in mente che potessero essere proventi allo scambio di armi tra Libia e italia , ma la cosa ha poco senso. Piu facile pensare che qualche organizazione possa mandare soldi da distribuire, il mio pensiero e’ che secondo me e coreggetemi il deserto non stampa euro,e come qualcuno ha gia detto i migranti con 3000 4000 euro al loro paese ci vivono per decenni in 15 persone.per attraversare il sahara dal centro africa devono pagare molte persone,a tratte di 1000 euro,un servizio delle iene ha chiarito molte cose ,in poche parole ci pisciano in testa e vogliono farci credere che piove,
Per favore, fonti e prove.
Anche da parte tua. In università… Non quella della logorrea galattica, direbbero che le tue possono essere : 1) Di seconda o terza mano; 2) prezzolate, viste le metodologie delle fabbriche di fake news, vera e propria industria della disinformazione
Chi paga gli scafisti per i minori non accompagnati senza parenti?
Chi li porta in Libia?
Nessuno si fa queste domande, politici,giornali, media.