Dopo il messaggio di Napolitano sull’affollamento delle carceri si apre, nuovamente, in Italia il dibattito sull’indulto. Oltre alla considerazione che la certezza della pena è il primo deterrente al reato (e ce lo diceva già Cesare Beccaria nel 1764) e che questa interessa tutto il sistema giudiziario e non solo l’apparato detentivo, una delle principali obiezioni è che le persone scarcerate con l’indulto tornano a delinquere.

L’ultimo indulto vi fu sotto il governo Prodi e dopo il provvedimento, anche perchè ci si trovava già in campagna elettorale, i giornali si riempirono di articoli che testimoniavano come furti, rapine e altri reati fossero commessi da “indultati”. Ora il sentire comune dice che se una persona esce dal carcere grazie all’indulto questa sarà un costo sociale per la collettività. Ma i numeri dicono il contrario:

– i dati raccolti dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (DAP) come la recidiva dei beneficiari del provvedimento di indulto (legge n. 241 del 31 luglio 2006) dopo 5 anni dall’approvazione, si attesti al 33,92%.

– l’unico studio sul lungo periodo della recidiva di persone ex detenute compiuto di recente, si deve a una rilevazione effettuata dall’Ufficio Statistico del DAP. Qui troviamo come il 68,45% dei soggetti scarcerati nel 1998 abbia, nei successivi 7 anni, fatto reingresso in carcere una o più volte.

A spanne potremmo dire che chi ha beneficiato dell’indulto ha una tendenza a commettere nuovi reati pari alla metà di chi giunge a fine pena. Questo dato è spiegabile con una norma che era compresa nella legge d’indulto del 2006, ovvero se al momento della misura dovevo scontare ancora tre anni di detenzione, questi mi venivano abbonati, ma al commettere un nuovo reato avrei dovuto scontare la pena di questo più tutti i mesi del precedente cancellati con l’indulto. Quindi la scarcerazione di persone sottoposte ad esecuzione penale, abbinata alla minaccia di scontare la vecchia e la nuova pena in caso di reiterazione del reato, pare svolgere un’efficace funzione preventiva, soprattutto fra coloro che erano alle prime esperienze detentive.

Già che ci siamo è interessante analizzare altre due dati, ovvero la differenza tra italiani e stranieri e tra chi al momento dell’approvazione dell’indulto si trovava in carcere e chi in situazione alternativa.

Emerge un tasso di recidiva fra gli italiani di ben 13 punti percentuali superiore a quello tra gli stranieri. Il dato è particolarmente significativo, perlomeno nelle sue dimensioni, tanto più se raffrontato con le retoriche dell’allarme sociale che hanno accompagnato il provvedimento di indulto: lo straniero extracomunitario, privo di permesso di soggiorno, come uno dei pericoli maggiori per la sicurezza pubblica una volta rimesso in libertà.

Si registra tra coloro che erano in misura alternativa, una recidiva inferiore di circa 10 punti percentuali alla recidiva tra quanti scontavano la pena in cella (21,97% a fronte del 31,15%, i dati si riferiscono ai primi 3 anni e mezzo dal provvedimento).

Insomma il problema carcerario si affronta su vari aspetti, quello dell’affollamento può godere di misure straordinarie come l’indulto, ma avrebbe molto più senso ragionare sulla promozione delle misure alternative alla detenzione perchè sono più efficaci rispetto al corrette reinserimento nella società di chi ha commesso un reato.

E se poi si eliminassero leggi assurde come la Giovanardi…

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